mercoledì 4 ottobre 2017

#DauniaUpnDown il nuovo progetto di ricerca per la promozione del territorio targato SalenoUpnDown e Università degli studi di Foggia


Grifoni del Polo Museale di Ascoli Satriano (@gaker79)


Le terre di confine sanciscono uno spartiacque tra i territori tra i quali si vanno a porre, cristallizzano tutto il buono degli uni e degli altri e diventano crocevia di culture, tradizioni e costumi che non appartengono né agli uni né agli altri territori.
La Daunia è un lungo confine verde fatto di ondulate colline e dolci montagne, la storia che l'ha segnata parla di bizantini, di angioini, di ebrei, di musulmani, di lingua franco provenzale, quasi un territorio posto in una regione differente da quella che delimita i suoi confini, in un luogo molto lontano nel mondo, ma la geografia, netta, la colloca in Puglia, a sinistra del Gargano, a destra dell'Irpinia, a nord della Lucania. 
#DauniaUpnDown è un viaggio a pieni polmoni in una realtà al di fuori degli schemi, lontana dagli itinerari turistici, nella Puglia che non ti aspetti, ma che c'è, e vive nei sogni radicati al suolo di chi non ha mai smesso di credere nelle proprie potenzialità, di chi tiene accesa la speranza e che negli anni ha fatto leva sui propri valori e sui propri tesori, esposti, a volte nascosti, e a volte perfino rubati (ma questa è un'altra storia di cui parlerò più avanti).

Vivere un territorio come la Daunia fa riscoprire il lato autentico dell'accoglienza. Si accoglie quando si è in dovere di farlo, quando siamo preposti ed è nella nostra indole, si accoglie per garantire un ritorno, a chi ha amato, noi e la nostra terra.

Daunia Up'n Down è un progetto di ricerca-intervento che ha come scopo lo sviluppo di una metodologia capace di favorire la promozione del territorio sui media digitali, grazie alla collaborazione fra atenei e territori pugliesi. Puglia Promozione (@weareinpuglia), l’agenzia regionale del Turismo, in collaborazione col Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Foggia (@unifg_official) sta portando avanti la sperimentazione di un social tour della Daunia per validare la metodologia già sviluppata con successo in due edizioni dal progetto SalentoUpNDown, ideato da un team dell’Università del Salento (@unisalento.it) in collaborazione con i community manager di Igers Lecce.





Giorno 1

TROIA


Cattedrale di Troia


La primissima tappa di #DauniaUpnDown tocca il piccolo borgo di Troia alle pendici dei Monti Dauni. Un borgo che tra due anni vedrà spegnere le sue prime mille candeline, fondata nel 1019, vede susseguirsi popoli ed etnie sul suo percorso.
Nell' immensamente piccolo a volte siam abituati a trovare l'immensamente grande, Troia in questo caso, con le sue sette mila anime è l'immensamente piccolo, e, a testimonianza della sua storia ricca e millenaria, troviamo l'immensamente grande, identificato in un elemento architettonico di notevole pregio, la Cattedrale e il suo Rosone.

Cattedrale di Troia e il suo rosone

Rosone della Cattedrale di Troia visto dall'interno


L'interrogativo che ci si pone quando si arriva in una cittadina così piccola è perché un'imponente cattedrale e una preziosa facciata proprio lì, la risposta ce lo da il grande valore di Troia, che nell' XI secolo divenne roccaforte dei Normanni di Puglia, proprio dove soggiornava Roberto il Guiscardo con la sua famiglia. Nel 1093 il papa decise di organizzare proprio a Troia un primo concilio, ma all'epoca non c'era ancora la cattedrale, che fu costruita a fine concilio, lavori che andarono avanti per ben trent'anni, che videro avvicendarsi quattro concili presieduti da ben quattro differenti papi.
La facciata della cattedrale di Troia non è una comune facciata, è un libro aperto sul medioevo, che narra di sogni, incubi e paure della gente, la parte in basso della facciata molto semplice, quella in alto invece, una vera e propria esplosione di creatività, dettata da elementi che appartengono a culture differenti, e soprattutto a religioni differenti.
Il vero elemento che stupisce è l'uomo in alto sulla sinistra, con abbigliamento orientale, un ebreo, ma perché un ebreo sulla facciata di una chiesa cattolica? Il motivo è presto svelato, la cattedrale è ubicata sulla via Traiana che da Roma conduceva a Brindisi e inglobata nella più imponente via Francigena che da Canterbury portava fino a Gerusalemme, tutti coloro che andavano da occidente verso oriente e viceversa, erano costretti a transitare davanti alla cattedrale di Troia e se tra i viandanti ci fossero artigiani, mercanti, potevano contribuire alla realizzazione della cattedrale, guadagnando qualche danaro per continuare il loro viaggio, ed è stato proprio questo incrocio di anime che ha lasciato segni di culture differenti sulla facciata, come quelli ebraici e addirittura musulmani.
La vera perla della facciata è il Rosone, sintesi perfetta di questo incrocio di culture, in cui ritroviamo decorazioni arabeggianti tipiche della cultura musulmana, impresse appunto nel rosone, un simbolo cristiano, al cui centro troviamo la stella di Davide, simbolo della religione ebraica. Le tre più importanti religioni monoteiste che imprimono il loro segno in un'unica opera, il Rosone.
Il legame tra le sculture al di sopra del rosone è il demonio, la dannazione, il peccato, come la scimmia, simbolo del demonio, o il diavolo travestito da monaco nell'atto della defecazione a simboleggiare il dissacrare un luogo sacro come la cattedrale, il maialino a simboleggiare la lussuria, e persino Adamo ed Eva primi simboli del peccato. Nel centro esatto dell'arco un uomo su un leone, a simboleggiare Dio, perché se l'umanità si aggrappa a Dio, è salva dal peccato e dal demonio, al tempo stesso è il Rosone a dare il significato all'arco, come una finestra attraversata dalla luce, la luce è verità e la verità è Dio che sconfigge il demonio.

Navata della Cattedrale di Troia (@caroppio)

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Dal punto di vista enogastronomico conosciamo Troia per il celebre Nero di Troia, un vino autoctono dal color rubino e molto tannico, ma a sorprendere è il dolce tipico di Troia che con la sua dolcezza quasi esagerata e i colori mediterranei sembra quasi proiettarci verso la Sicilia. Parlo della Passionata, un dolce creato nella Pasticceria Casoli, mangiarlo vuol dire affondare il cucchiaio in un pezzo di storia fatta ad esplosione di dolcezza, uno scrigno di marzapane di mandorle di Toritto con all'interno una crema di ricotta di bufala, mucca e pecora, a testimonianza di un dolce che parla della tradizione, la transumanza infatti era di strada nella Daunia. A guarnire il dolce un rosone di zucchero. Un dolce che parla della passione nella sua forma più pura.  


Passionata della Pasticceria Casoli

Pasticceria Casoli
                           




BOVINO

Veduta di Bovino


Uno dei borghi più belli della Puglia di sicuro uno dei più d'Italia, Bovino coi suoi 800 portali, ha ottenuto anche il riconoscimento Bandiera Arancione dal Touring Club. Nel visitarla ci si rende subito conto che tali riconoscimenti son più che meritati, un centro storico che regala prospettive accattivanti su scorci, vicoli ben curati e a risaltare son i palazzi e le costruzioni in pietra locale.
Bovino è un piccolo scrigno in cui si respira il vivere mediterraneo, accoglienza che non ti aspetti e che lascia di stucco, una meta perfetta per assaporare il dolce vivere della Daunia.
Il nostro percorso nel borgo è stato in compagnia di Michele Grande della Soc. Coop. Bovino, proprio con lui e con chi collabora con lui ti rendi conto dell'autenticità della parola accoglienza, si accoglie chi ama noi e la nostra terra per garantirgli un ritorno.

Da non perdere a Bovino la Basilica Cattedrale, un tipico romanico pugliese, con la facciata risalente al 1231.

Basilica Cattedrale di Bovino


Il Castello Ducale, imponente con la torre normanna, al suo interno il Museo Diocesano e la residenza Ducale, oggi un b&b di gran gusto che accoglie sempre un maggior numero di turisti.

Castello Ducale di Bovino

Castello Ducale
















A Bovino si pratica l'antica arte del rasoio, da ben cinque generazioni il mestiere del barbiere viene tramandato in una delle famiglie più longeve al mondo in questo settore.
Tutto nasce agli inizi del 1800 con il trisavolo dell'attuale proprietario, all'epoca vi era la figura del barbiere-chirurgo che estraeva denti e applicava sanguisughe, da lì il figlio emigrante di ritorno dagli Stati Uniti aprì a Bovino il primo barber shop all'americana, il resto è storia contemporanea in un locale dove molti giovani percorrono diversi km per raggiungere Bovino e sottoporsi alla lunga e professionale rasatura (ben 50 minuti), con rasoi a mano libera. Un vero trattamento di benessere per la barba. 

Barber Shop Scapicchio


Sempre a Bovino troviamo una vera perla che narra di radici, di storia e amore per la terra, Lo Moleno, un vecchio mulino con macine in pietra, proprio come una volta. Olga, Luana, Francesca e Milena, quattro sorelle che sulle orme del padre Luigi portano avanti l'eredità del padre, macinando ancora oggi il grano Senatore Cappelli con una macina del 1930, alimentata ad acqua.

Lo Moleno





                              Giorno 2


LUCERA

Lucera


Lucera è stato il nostro quartier generale, dove riposavamo le nostre menti e comtemplavamo ciò che stavamo vivendo, in maniera del tutto inaspettata. Lucera, da "bosco sacro" per gli etruschi è immensa, estesa e nella sua grandezza domina lo sterminato paesaggio a macchie verdi e gialle che è il Tavoliere delle Puglie.
La città è stata parte fondamentale della storia della Puglia, l'ha scritta e si è distinta nei secoli come fedele colonia romana adottando la sigla S.P.Q.L (Senatus Populusque Lucerinus), simile alla S.P.Q.R. adotta dai romani.
Tre sono le più importanti opere presenti nella città che la storia ci ha consegnato:
L'anfiteatro romano del I secolo a.C. costruito in onore di Augusto, il quale si recava di tanto in tanto a Lucera per assistere alle lotte tra i gladiatori, forse l'opera romana più importante in Puglia.

Anfiteatro romano di Lucera



La fortezza Sveva Angioina, l'opera più importante della città, la strada che porta al suo accesso parla dell'amore che Federico II di Svevia nutriva per questa terra, con un murales che lo ricorda: "Se il Signore avesse conosciuto questa piana di Puglia, luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui". Il luogo in cui sorge la fortezza era abitato anche in epoca  preromana, fu Federico II nel XIII secolo a voler costruire una fortezza ed un luogo di piaceri, decise di deportare alcuni saraceni di Sicilia che si opposero al suo dominio, e li portò a Lucera, un posto lontano dal mare in modo che non potessero più fare ritorno in Sicilia. Lucera così diventa una città completamente araba a minoranza cristiana, e gli arabi da deportati diventano fidati dell'imperatore, alcuni entrarono a far parte della guardia imperiale e proprio in quegli anni fu costruita parte della fortezza.
La parte federiciana è all'interno, la maestosità della fortezza è opera degli angioini, i nuovi dominatori, furono loro a commissionare a Pierre D'Angicourt la realizzazione dei 13 mt di altezza della fortezza per un perimetro di quasi un km, e ben ventiquattro torri. Perché gli angioini fecero costruire la fortezza? Per farvi giungere famiglie di francoprovenzali che avevano il compito di controllare Lucera, ma il caldo eccessivo li portò a spostarsi altrove, ne parlerò in seguito..
Una città di infedeli all'interno di un'europa cristiana è vista con disprezzo e subisce attacchi, ci furono addirittura cardinali che organizzarono crociate contro i musulmani di Lucera, Carlo II di Napoli attaccò i saraceni, ripristinando la fede cristiana distruggendo la moschea e al suo posto fu eretta la chiesa principale di Lucera, la Basilica Cattedrale di Santa Maria Assunta.

Interno della fortezza Svevo Angioina

Interno della fortezza Svevo Angioina

Una delle ventiquattro torri della fortezza

Interno della Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta


Murales in onore di Massimo Troisi (@ale_piemontese)



Vivere in un'altra epoca e immergersi nell'architettura e nei costumi di due secoli fa, un'altra volta lontani nel tempo e in un posto lontano, invece siamo alle porte di Lucera, a Villa Uva. Una dimora in stile moresco in cui il sole ci da il buongiorno tra gli uliveti e la natura cinge questo prezioso scrigno di altri tempi.

Villa Uva (@illuridocane)

Facciata di Villa Uva

Interni di Villa Uva (@milcsecond)

Interni di Villa Uva

Terrazza di Villa Uva (@illuridocane)



CELLE DI SAN VITO


Piazza di Celle di San Vito (@timbrado)



La prima cosa che si nota una volta giunti a Celle di San Vito è il campo da calcio, è posto poco al di sotto dell'ingresso del paese. Celle di San Vito forse avrà una fede calcistica molto più forte di un qualunque altro comune visto che è il comune meno popolato della Puglia e come tale deve far sentire più forte il suo valore per farsi valere contro qualunque avversario.
80 anime e poco più che respirano aria buona in un borgo colorato in cui si è fieri delle proprie origini e in cui si fa ritorno per le vacanze, molti infatti gli emigrati all'estero e in nord Italia negli anni '50, i figli degli emigranti ancora fanno ritorno per respirare quell'aria autentica che solo le radici sanno dare.
Celle di San Vito ha una caratteristica tutta sua che insieme a Faeto la contraddistingue e la rende unica in tutto il meridione, ovvero è l'unica minoranza francoprovenzale in Italia.
L'uso della lingua francoprovenzale ha origini antichissime, risale al 1274, quando il Papa invoca Carlo D'Angiò per combattere gli Svevi dopo la resa dei Saraceni a Lucera. Carlo D'Angiò porta a Celle di San Vito molti contadini ed artigiani provenzali, i quali si stanziarono negli anni a seguire. Un'altra testimonianza invece attribuisce l'uso del francoprovenzale ai 200 soldati e centinaia di uomini inviati da Carlo D'Angiò per presidiare il valico di Crepacore, da lì si stanziarono nei comuni limitrofi tra cui Faeto e Celle di San Vito.
Oggi il francoprovenzale continua a vivere tra gli abitanti di Celle di San Vito ed è preservato con molta cura, grazie anche all' "Associazione culturale francoprovenzale di Puglia in Piemonte" di Silvano Tangi.



Celle di San Vito (@anna.kiara)



Piazzetta di Celle di San Vito (@lacerti)

Campo di girasoli a Celle di San Vito (@dandandr90)








FAETO


Faeto


In perfetta simbiosi con Celle di San Vito per via della minoranza francoprovenzale, Faeto è il comune a maggiore altitudine della Puglia. Dai suoi 856 mt. s.l.m. Faeto domina il subappennino dauno, e come la vicina Celle di San Vito si contraddistingue per l'accoglienza, i suoi scorci tra i vicoli e i verdi paesaggi.

Scorcio di Faeto (@lacerti)




giorno 3

BICCARI

Una parola ricorrente in questo post è "accoglienza", la Daunia offre tanta accoglienza, a chi è di passaggio, a chi vi passa per visitarla. Biccari è esempio di un'accoglienza calorosa, sia della cittadinanza che della 'Cooperativa di Comunità Biccari'. Un modo di aggregarsi per dare risposte alla comunità, condividendo creatività, idee, il proprio saper fare. Si identificano i bisogni, si sviluppano idee e si danno risposte. Creando così una perfetta amalgama tra le diverse generazioni presenti nel borgo che collaborano intensamente per l'amore della propria terra.
Biccari è anche storia, di origine bizantina, la torre nel suo centro ne è testimonianza, imponente nei suoi 23 metri di altezza.



Se vi trovate a passeggiare per i vicoli di Biccari nelle prime ore del mattino sarete rapiti dal fragante odore di peperoncino e aglio che costituiscono il condimento della Pizza a Furne Aperte, specialità de.co. (denominazione comunale) di Biccari. Un tipico esempio di focaccia che veniva preparata e poi cotta per testare la temperatura del forno dove sarebbe finito poi in cottura il pane. Per palati golosi, occhio, può creare dipendenza.

Pizza a Furne Aperte



Biccari è anche punto di partenza per escursioni nei punti più alti della Puglia, come ad esempio il Lago Pescara, dal nome potrebbe sembrare un riferimento alla città abruzzese, in realtà prende il nome da sistemi di pesca. Siamo a 900 mt. s.l.m., il lago non è alimentato da emissari, ma da sorgenti sottolacustri, ruscelli che convogliano acqua piovana e neve oramai disciolta.

Lago Pescara


Da non tralasciare l'ultima tappa, ovvero la cima più alta di tutta la Puglia, il monte Cornacchia, dal rifugio è possibile godere di un panorama mozzafiato, riuscendo a scorgere il Gargano, l'Irpinia, il Tavoliere delle Puglie e persino la Majella.

Cima del Monte Cornacchia (@iddio)


Rifugio del Monte Cornacchia


























Magda (@cooperativabiccari)


ROSETO VALFORTORE


Roseto Valfortore (@ruggero_falone)


Un balcone con le finestre spalancate sul subappeninno dauno e la rosa non solo nel nome, ma impressa anche nello stemma, ben visibile davanti la Chiesa Madre, ad opera degli scalpellini rosetani. La loro opera è un vero fiore all'occhiello per la comunità, degli artisti che per anni hanno lavorato la pietra delle cave locali, realizzando delle vere e proprie opere d'arte consegnate alla cittadinanza.

Opera degli scalpellini rosetani e stemma di Roseto Valfortore



Le vie di Roseto respirano la storia dell'architettura longobarda, vicoli con le scalinate che conducono alle varie abitazioni, alternati a vicoli più stretti che convogliavano l'acqua piovana.
Roseto è anche simbolo di qualcosa che ha caratterizzato il meridione dalla fine del 1800 fino al secondo dopo guerra, l'emigrazione. Numerosi i rosetani che abbandonarono il borgo nel foggiano per trovare fortuna oltreoceano, famosa è la storia dei rosetani in Pennsylvania i quali crearono una Roseto statunitense, prima cittadina in America ad essere governata da soli italiani.






giorno 4

ORSARA DI PUGLIA


Orsara di Puglia (@ruggero_falone)



Ad Orsara di Puglia c'è spazio per la fede e per la venerazione di San Michele Arcangelo, vi è infatti custodita la grotta intitolata a San Michele, replica della grotta di San Michele sul Gargano. All'interno di un complesso abbaziale, la si raggiunge con una scalinata sacra risalente al II sec. d.C., con una volta a botte scavata nella roccia, sulle parete si trovano ancora i graffiti incisi dai pellegrini.


Grotta di San Michele Arcangelo







PEPPE ZULLO E IL SUO PARADISO

Peppe Zullo

La prima impressione è qualcosa che ci ricorderemo per sempre di qualcuno, presentarsi in maniera semplice, non costruita, quasi facendo un passo indietro, con ironia, il miglior vestito che si possa dare all'eleganza. Come se ci spogliassimo di tutte le etichette e fossimo realmente noi, questa è stata l'impressione che ho avuto di Peppe Zullo nel suo incantevole Paradiso ad Orsara di Puglia.
Composto, ma non troppo, gesticolante, molto, pacato, ma con una verve innata, ci ha accolto al nostro arrivo nella maniera che più amo, col sorriso sulle labbra e con la voglia di mostrarci ciò che ha costruito e che con orgoglio chiama il suo Paradiso.
Peppe Zullo è un uomo d'altri tempi, ha cercato fortuna per il mondo quando la sua terra aveva poco da offrire, ma è tornato per donarle i fasti che merita, perché le ali che ti han portato lontano, prima o poi sentono il richiamo delle radici.
Lo definiscono 'Cuoco contadino', e lui è veramente un contadino, si sporca le mani nella terra, affonda i polpastrelli tra i pomodorini che sfrega sulle bruschette e con i quali prepara le focacce, e da buon contadino seleziona lui le varietà dei suoi ortaggi. Nel suo orto ti porge un rametto di aglio fresco per fartelo annusare come se fosse una rosa profumata e ti dice: "lo senti quanto è delicato l'aroma? lo puoi mettere nel soffritto", una vera e propria filiera che compie un giro a 360° su questa figura così carismatica.
La cucina di Peppe è semplice, per gente intelligente, come dice lui nel suo slogan "simple food for intelligent people", una semplicità che eccelle in gusto, spogliata degli orpelli di una certa cucina contemporanea, che affonda appieno nella tradizione pugliese, una ricotta cremosa, la focaccia fragrante, le orecchiette al grano arso da estasi di sapori e una fetta di fico adagiato su di una bruschetta, il bruscofico, diventano qualcosa di superlativo.
'Villa Majele', per riceventi e pranzi formali, e 'Il Paradiso di Peppe Zullo' costituiscono due vere eccellenze made in Puglia, orgoglio della Daunia.



Villa Jamele

Villa Jamele (@philgonzalez)



Focaccia con pomodorini


Orecchiette al grano arso con rape e cacioricotta 


ACCADIA




Parlare del piccolo borgo di Accadia vuol dire parlare dell'antico Rione Fossi, completamente scavato nella roccia, in cui il paragone con Matera è quasi d'obbligo. Avviati da anni i lavori per un recupero del Rione, un tempo luogo sacro, oggi completamente abbandonato dopo i due recenti terremoti del 1930 e del 1980 che hanno interessato l'area.
Ma la bellezza parla da sola anche dove non c'è nessuno ad ascoltarla. Nel percorso a chiocciola all'interno delle stradine del Rione un vero e proprio percorso emozionale tra citazioni impresse sui legni delle porte, che sembrano quasi attendere qualcuno che inserisca le chiavi nella toppa per farvi rientro.










POLO MUSEALE DI ASCOLI SATRIANO 


Grifoni del Polo Museale di Ascoli Satriano (@gaker79)



La storia dei due Grifoni custoditi nel Polo Museale di Ascoli Satriano è una storia che Carlo Lucarelli racconterebbe molto volentieri nel suo Blu Notte, ci sono tutti gli elementi di un giallo di spessore, oggetti di inestimabile valore, soldi, traffici internazionali, e ancora una volta sembra di essere in un posto molto lontano, invece, pensate un po', siamo ancora in Daunia.
La storia di Savino Berardi, che tra il 1976 e il 1977 insieme ad altri suoi complici trafuga in uno scavo archeologico nelle campagne delle Daunia dei reperti di epoche antichissime, una di queste è qualcosa che nessuno di loro si sarebbe mai potuto aspettare di trovare, una scultura alta ben 98 cm. e lunga 148, costituita da una coppia di grifi con corpo da leone e testa di drago, cresta rosso porpora e ali azzurre, intenti ad azzannare un cervo. I tombaroli si resero immediatamente conto di avere per le mani un pezzo unico, stiamo parlando di un pezzo risalente al V sec. a.C., un opera forse avanguardista per l'epoca a cui risale, appartenente ad un corredo funebre di una tomba macedone. In fretta e furia prima che facesse giorno, i tombaroli trasportarono via dagli scavi l'opera pregiata, la loro mente scellerata li portò a tagliare in tre parti l'opera per poterla caricare su di una 127. La storia che ne segue si snoda dalla Svizzera fino all'America, l'opera infatti viene venduta per la cifra equivalente agli odierni 60.000€ ad un noto mercante d'arte svizzero dell'epoca, Giacomo Medici. L'opera viene poi rivenduta per il valore di 2.500.000€ al Paul Getty Museum di Malibù dove rimarrà fino al 2007. In punto di morte Savino Berardi confessa di aver compiuto un atto di tale portata e indirizza gli organi preposti al ritrovamento del capolavoro Dauno. Oggi è possibile visitarlo in tutto il suo splendore, nel suo marmo turco all'interno del Polo Museale di Ascoli Satriano.




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